1. Introduzione

Autoritratto: Rappresentazione figurativa di un artista realizzata dall’artista stesso; nell’ambito del genere del ritratto, costituisce un sottogenere dai caratteri e dalla storia ben definiti.

2. Cenni storici

L’autoritratto nacque in Italia, nel panorama del rinnovamento artistico del Rinascimento. Presupposti fondamentali della sua affermazione furono la concezione umanistica dell’individuo, considerato centro dell’universo e artefice di se stesso, insieme allo sviluppo delle nuove tecniche pittoriche (pittura a olio, costruzione prospettica dell’immagine ecc.), e ai progressi delle scienze della natura. L’artista cominciò a prendere coscienza del carattere unico e originale della propria arte e rivendicò la dignità del suo ruolo di creatore. L’autoritratto fu l’atto attraverso il quale egli si impose in seno alla sua stessa opera; una sorta di firma su tutta la sua produzione.

1. Il Quattrocento

Fino alla seconda metà del XV secolo, ogni raffigurazione dell’artista era o del tutto evitata, o chiaramente subordinata a ragioni rappresentative diverse; in nessun caso poteva del resto essere inclusa in una composizione artistica importante, specie se di carattere sacro.

Verso la fine del Quattrocento, nel clima del Rinascimento ormai maturo, numerosi erano gli artisti coscienti della propria dignità, che ardivano misurarsi con i grandi del passato. Nella tavola dei Cinque fondatori dell’arte rinascimentale (1475, Musée du Louvre, Parigi), attribuita a Paolo Uccello, l’autore si rappresenta tra gli altri grandi artisti del secolo: è l’inizio dell’autoritratto nell’arte figurativa.

Se in un primo momento l’autoritratto risente nello stile e nelle tipologie rappresentative delle forme d’arte già affermate, presto, grazie in particolare agli studi anatomici di Leonardo da Vinci, si affermò come arte realistica, basata sull’osservazione. Grande importanza sullo sviluppo del genere ebbero inoltre i progressi scientifici dell’età moderna, che portarono a modifiche sostanziali nella mentalità e negli atteggiamenti culturali: gli artisti concentrarono l’attenzione sulla fisionomia del volto rappresentato, che doveva riflettere la verità psicologica del soggetto (cioè, nel caso dell’autoritratto, di loro stessi), e sui colori dell’incarnato, che dovevano corrispondere in modo fedele a un’età e a un vissuto. L’autore del dipinto non doveva essere solo apprezzato per la sua arte, ma riconosciuto. La misura del cambiamento nella percezione del proprio valore da parte degli artisti, e della volontà di sottolinearlo di fronte al pubblico, ci viene dall’autoritratto di Dürer (1500) della Pinacoteca di Monaco, in cui il pittore si presenta nelle sembianze di Cristo.

2. Il Cinquecento

Nel Cinquecento, nell’ambito dell’arte rinascimentale e poi manierista, l’autoritratto rappresentò uno dei generi artistici in cui più evidente fu il conflitto tra la nuova visione della vita razionale e pagana, e la tradizione insieme ideologica e figurativa, improntata alla religione cristiana e alla filosofia scolastica. Inoltre, le innovazioni tecniche nella fabbricazione degli specchi (fine del XV secolo) offrirono all’artista nuovi stimoli per la riproduzione pittorica dell’immagine ottica.

In Italia prima che altrove si passò dal ritratto di profilo, ancora medievale, al taglio di tre quarti, che enfatizza lo sguardo (ora rivolto direttamente allo spettatore). Altra caratteristica dell’autoritratto rinascimentale e manierista fu lo studio del colore e degli accostamenti cromatici: le innovazioni tecniche, quali la pittura a olio, ebbero influenza sullo sviluppo del genere, portando a un più definito modellato della figura, in primo piano rispetto allo sfondo, staccato e allontanato nella distanza prospettica. Interessante per i significati simbolici sottesi è l’operazione pittorica di Tiziano, che si rappresenta di tre quarti voltato verso destra – la direzione della forza e della dirittura morale – nel suo primo autoritratto (Gemäldegalerie, Berlino), e voltato verso sinistra – cioè verso il lato oscuro delle cose, la morte e il passato – nel suo secondo autoritratto (Museo del Prado, Madrid).

In posizione fortemente critica verso la tradizione figurativa improntata alla riproduzione verosimile del reale, alcuni artisti manieristi proposero visioni della figura umana spesso leggermente distorte. Si deve al Parmigianino uno degli autoritratti più provocatori di questa tendenza stilistica (Autoritratto allo specchio, 1534, Kunsthistorisches Museum, Vienna), in cui l’artista rappresenta il suo viso deformato da uno specchio convesso.

3. Il Seicento

La pittura fiamminga e olandese barocca (1620-1650) si ispirò largamente all’arte rinascimentale italiana. La proclamazione dell’indipendenza delle Province Unite (1581) sancì in questi paesi l’inizio di una maggiore libertà intellettuale, e dunque anche la possibilità di una più creativa espressione individuale. Numerosi furono gli artisti che dipinsero autoritratti: tra gli altri, Nicolas Eliasz, Adriaen van Ostade, Pieter van Slingelandt, Arys de Voys, e infine Rembrandt.

Ispirandosi inizialmente a Tiziano e al suo gusto per la narrazione figurativa, Rembrandt si volse, poco a poco, verso un tipo di pittura più coinvolgente, drammatica, ricca di pathos. Nell’autoritratto della National Gallery di Londra (1669), il volto emerge d’improvviso dal fondo scuro, rivelando immediatamente e in modo efficace lo stato d’animo e la personalità dell’artista. In altre opere (Autoritratto, Musée du Louvre, Parigi), Rembrandt si ritrae nel suo laboratorio, davanti al cavalletto, ponendo l’accento sulla sua professione, parte fondamentale della sua vita.

La tipologia del ritratto dell’artista nel suo atelier fu ripresa e riproposta da numerosi artisti europei, perlopiù formatisi alla scuola italiana, nel corso di tutto il Seicento. La diffusione di grandi specchi che potevano riflettere la figura intera influenzò lo sviluppo del genere dell’autoritratto, portando a rappresentazioni più solenni e complesse. Nicolas Poussin elaborò per i suoi autoritratti sfondi articolati, strutturati in modo analogo alle scenografie teatrali (Autoritratto, 1649, Gemäldegalerie, Berlino; Autoritratto, 1650, Louvre, Parigi). Alcuni pittori inclusero nell’autoritratto anche altri artisti, che confondono lo spettatore circa il soggetto della rappresentazione. In molti autoritratti la posa dell’artista diviene più ricercata: in piedi, colto in un gesto significativo, o di spalle, con il viso girato verso l’osservatore, come nell’autoritratto di David Bailly (Vanità, 1651, Museo di Lakenhal, Leida).

La Controriforma e la formazione degli stati nazionali, insieme alle tensioni sociali e politiche e alla devastazione delle guerre europee, segnarono una battuta d’arresto nello sviluppo di questo genere pittorico. Nel clima del rigorismo religioso, che imponeva la mortificazione dell’io, gli artisti dovettero ricorrere a trucchi e manipolazioni per giustificare i propri autoritratti. David Bailly, ad esempio, intitolò il suo dipinto Vanità, quasi anticipando le possibili critiche dei moralisti; Antoine van Steenwinkel fece una sorta di parodia di se stesso, suggerendo il tema dell’impostura; Jean-Baptiste Chardin (Autoritratti al Musée du Louvre, Paris, del 1771 e del 1775) trasformò i suoi autoritratti in nature morte.

4. Neoclassicismo e romanticismo

Il genere dell’autoritratto consentì agli artisti neoclassici un più largo margine di libertà espressiva in direzione naturalistica, al di là dei canoni della “nobile semplicità e quieta grandezza” (secondo le parole del Winckelmann) ispirati all’arte greca. In alcuni dipinti, il volto del pittore mostra segni e tratti che rimandano alla sua vita interiore, al suo carattere, così come lo vuole fare apparire l’autore.

Ma è con l’autoritratto romantico che diventa assolutamente centrale la resa psicologica del soggetto, rappresentato spesso come personalità inquieta, scissa tra opposte passioni. L’artista vuole esprimere la propria individualità unica e irripetibile, e al contempo la lotta interiore che lo pone in una condizione di perenne incertezza esistenziale. Cerca, allora, di rappresentare la verità del suo essere attraverso la sua personale percezione della natura, interpretata come una sorta di emanazione dell’io.

Oltre a un’affermazione di sé come individuo e creatore, l’autoritratto intende spesso essere un atto di rivolta e resistenza davanti alle costrizioni della società, sentite come insostenibili dai liberi spiriti romantici. In molti casi gli artisti parteciparono in prima persona alle lotte politiche e rivoluzionarie del proprio tempo, schierandosi con i sovvertitori del regime monarchico, o con i movimenti patriottici che combattevano contro l’oppressore straniero. In Francia, Jacques-Louis David eseguì il suo Autoritratto in prigione (1794, Musée du Louvre, Parigi), rappresentandosi nel suo studio, a ribadire il valore della sua attività. Elisabeth Vigée-Lebrun fece il primo autoritratto femminile, sottolineando la dignità della propria persona come donna e come artista, e nutrendo quindi il suo gesto di implicite rivendicazioni sociali e culturali (Autoritratto, 1789 ca., Musée du Louvre).

Di impronta prevalentemente psicologica è invece l’Autoritratto di Heinrich Füssli (1777, National Portrait Gallery, Londra), che esprime una personalità travagliata, angosciata: il volto posato sulle mani inerti, la potenza del ritratto si concentra nello sguardo quasi folle, ipnotico, dell’artista. Ma è Goya che porta ai massimi vertici questo genere come espressione del sé, della propria vita interiore: nel suo Autoritratto con il dottor Arrieta (1820, Institute of Arts, Minneapolis), i tratti fisionomici, i colori, la luce rendono evidente, quasi tangibile la sua malattia e la sua sofferenza fisica e morale.

5. L’impressionismo

Gli impressionisti ruppero con le tradizioni pittoriche accademiche, spostando in secondo piano la cura della linea e del disegno, a vantaggio del colore e della resa della luce: nell’autoritratto impressionista, il viso si costituisce attraverso un intreccio di pennellate colorate, che non tengono conto della precisione dei tratti quanto della qualità luminosa della pelle, dei capelli, degli occhi. I tre autoritratti di Van Gogh al Musée d’Orsay di Parigi (1887 –  18891989) sono composizioni basate su diversi gradi di blu. L’autoritratto di Claude Monet appare quasi come un’opera incompiuta, costruita sui gialli della barba e i rosa del viso (Autoritratto, 1917, Musée d’Orsay, Parigi).

6. L’autoritratto nell’arte contemporanea

Agli inizi del XX secolo, il genere dell’autoritratto riflette la crisi spirituale e morale dell’uomo occidentale, che sperimenta il fallimento dell’ottimismo positivista ottocentesco e assiste agli orrori della prima guerra mondiale. La rappresentazione dell’io dell’artista non può che essere confusa, nevrotica, frammentaria. L’autoritratto di Raoul Hausmann (ABCD, 1923-24, Musée National d’Art Moderne, Parigi) è uno dei primi autoritratti moderni in cui si fa ricorso alla tecnica del fotomontaggio, adatta a rendere lo stato di “disgregazione” interiore dell’individuo.

Parallelamente, lo sviluppo delle tecniche di stampa e dei procedimenti artistici dei movimenti d’avanguardia rappresentò uno stimolo per reinventare l’arte figurativa: la serigrafia, il collage, la fotocomposizione o il frottage furono solo alcuni tra i metodi espressivi utilizzati anche per l’autoritratto. Nell‘autoritratto del surrealista Max Ernst (Il punching ball o l’immortalità di Buonarotti, 1920, collezione Arnold H. Crane, Chicago), lo sfondo è costituito da un fotomontaggio, mentre l’immagine si compone in un collage. Se altre avanguardie, come il futurismo italiano, non arrivarono a scardinare con tanta determinazione i caratteri del ritratto tradizionale, in tutta Europa l’espressionismo portò a un radicale cambiamento nella concezione dell’arte, coinvolgendo naturalmente anche il genere ritrattistico. L’autoritratto espressionista mira non tanto a rappresentare le fattezze dell’artista, quanto a suggerirne la personalità, attraverso forme spesso angosciose e improntate a una sorta di inquieto misticismo.

Dopo la seconda guerra mondiale, la Pop Art, movimento artistico nato negli anni Cinquanta in Gran Bretagna e affermatosi rapidamente negli Stati Uniti nel decennio successivo, accolse le tecniche e le forme della pubblicità e della comunicazione di massa quali strumenti più adatti per rappresentare dinamiche e fatti della moderna società dei consumi. Nell’autoritratto, la figura del soggetto appare semplificata e privata di forza espressiva, ridotta a immagine neutra: ne è esempio l’autoritratto di Peter Blake (1961).

Nel mondo contemporaneo, il genere dell’autoritratto attraversa tutte le forme di espressione artistica e massmediatica (pittura, fotografia, cinema ecc.), riscuotendo un notevole successo di pubblico. Nata e affermatasi in Occidente, la declinazione autoreferenziale dell’arte è fatto frequente oggi anche in paesi soggetti all’influenza europea o statunitense: ad esempio in Giamaica, nell’Africa del Nord, nell’Europa dell’Est, e recentemente anche in Asia. L’autoritratto dell’artista cinese Lui Wei (Il pittore e Hua Guofeng, 1991) evoca, in modo suggestivo, l’espressionismo di Egon Schiele, coniugando modi espressivi occidentali con l’attenzione per il corpo e per l’individuo tipica della cultura orientale contemporanea.


“Autoritratto,” Microsoft® Encarta® Enciclopedia Online 2008
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